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Come ogni anno l’ultimo weekend di marzo si sono tenute le Giornate FAI di Primavera. Si tratta di un evento annuale organizzato dal Fondo per l’Ambiente Italiano, l’associazione senza scopo di lucro fondata nel 1975 e volta a preservare il patrimonio artistico nazionale. Durante le Giornate di Primavera vengono aperti al pubblico per visite guidate luoghi della cultura – anche non di proprietà del FAI – altrimenti inaccessibili. Per quanto riguarda la città di Verona, il filo conduttore delle aperture straordinarie è stata l’acqua ed, in subordine, la famiglia Perez Pompei: per questo erano accessibili Palazzo Muselli a Verona, Villa Sagramoso – Perez – Pompei ad Illasi ed infine una passeggiata di 5 km a Custoza, nella natura che contraddistingue quei luoghi.
Per questioni logistiche abbiamo deciso di focalizzarci sui due palazzi aperti al pubblico, tralasciando la passeggiata di Custoza. Siamo arrivati a Verona verso le 10, e dopo aver lasciato la macchina ci siamo recati verso la nostra prima meta, Palazzo Muselli. Questo edificio si trova in Corso Cavour al civico 42: il corso è per certi versi affine al Canal Grande di Venezia, una via di rappresentanza in cui era prestigioso per le nobili famiglie del passato possedere sfarzosi palazzi. Palazzo Muselli è in una location invidabile: recandosi verso il centro, superato Castelvecchio e l’Arco dei Gavi, si incontrano in rapida successione sul lato sinistro della carreggiata due sontuosi edifici. Tra Palazzo Canossa e Palazzo Portaluppi appare Palazzo Muselli, opera seicentesca voluta dalla famiglia Muselli (tra i più ricchi abitanti di Verona nel XVII secolo) come sede di rappresentanza e poi passata per vie traverse prima all’INPS e poi alla Banca d’Italia (che la usò come sede veronese prima di trasferirsi nel 2002 nell’adiacente palazzo Portaluppi). Gravemente danneggiato durante il secondo conflitto mondiale (durante il quale i tedeschi in ritirata fecero saltare con l’esplosivo l’adiacente ponte di Castelvecchio) venne restaurato dai nuovi proprietari dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (e poi di Bankitalia) con poco, pochissimo rispetto per la storia dei luoghi: soffitti in cartongesso, luci al neon, gabbiotti e cubicoli per uffici.
Lo stabile, aperto per la prima volta al pubblico dopo essere stato liberato dai dipendenti della Banca nazionale, è stato illustrato dagli studenti delle scuole superiori aderenti al FAI Scuole. Per quanto il materiale architettonico da illustrare fosse ridotto all’osso, encomiabile è stato lo sforzo dei ragazzi che nel susseguirsi delle sale hanno cercato di coinvolgere gli ospiti con vari argomenti, dalla storia della Banca d’Italia alla tecnica dello stucco con cui sono state decorate molte sale. Due gli highlights: la bella sala – affacciata sull’Adige e con vista sul ponte di Castelvecchio – con l’affresco di Louis Dorigny dato per disperso e raffigurante la battaglia di Ponte Milvio) e la adiacente sala in cui si è ripercorsa la storia della Quadreria Muselli. Giacomo Muselli (1569-1641) era, secondo l’estimo del 1614, l’uomo più ricco di Verona. In quegli anni, la ricchezza si dimostrava anche tramite l’amore per l’arte ed il Muselli nella sua vita radunò una delle più importanti collezioni d’arte dell’epoca: quadri di piccole dimensioni ma di fattura eccelsa, tra cui opere di Tiziano, Veronese, Giovanni Bellini, Brugel il Vecchio, Lucas Cranach nonché disegni di Parmigianino e la “Caduta di Fetonte” di un certo Michelangelo Buonarroti. Completavano la raccolta una serie importante di monete di epoca greco-romana. Giacomo Muselli era a tal punto orgoglioso della sua collezione che, in fase di testamento, vietò ai figli non solo la vendita della collezione ma anche il prestito dei quadri e pure la loro copia, resistendo alle brame d’acquisto dei maggiori principi europei dell’epoca (Francesco I d’Este, duca di Modena e Reggio; l’arciduca Ferdinando Carlo d’Asburgo; il cardinale Flavio Chigi; Cristina di Svezia). I figli del Muselli però non amavano l’arte come il padre e non fecero menzione della collezione nei loro testamenti: i nipoti non ressero ai richiami del denaro e vendettero la collezione a Jean-Baptiste Colbert marchese di Seignelay, omonimo figlio del controllore delle finanze di Luigi XIV, re di Francia. Da Parigi la collezione venne rivenduta arrivando nei secoli successivi alle sale del Louvre di Parigi, alla National Gallery di Londra, alla Gemaeldegalerie Alte Meister di Kassel e l’Ermitage di San Pietroburgo.
Prossimamente parleremo di Villa Sagramoso-Perez-Pompei di Illasi, stay tuned!
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