Questi articolo è stato pubblicato orignariamente sul numero 7 -2019 del settimanale Verona Fedele. © Tutti i diritti riservati
Si è conclusa con il consueto pienone di pubblico – tra giornalisti, operatori di settore e semplici appassionati – Anteprima Amarone 2015. Si tratta di uno degli eventi più attesi nel mondo del vino per fare il punto della situazione su produzione, mercati, prospettive e sfide future del re dei vini rossi veronesi nonché uno dei vini rossi più famosi al mondo.
Uno dei temi più importanti di questa edizione è stato l’enoturismo, ovvero di come sia possibile agganciare l’Amarone della Valpolicella alla zona in cui è prodotto (la Valpolicella sia intesa come zona classica che quella allargata). Un tema ben riassunto dal Ministro per le Politiche Agricole, Forestali e del Turismo, Gian Marco Centinaio, che inaugurando la tre giorni dedicata al re dei rossi veronesi ha posto la fatidica questione: “È un dato di fatto che gli stranieri conoscano l’Amarone e non la Valpolicella”.
A queste domande si è cercato di rispondere durante questa edizione di Anteprima Amarone sia nel dialogo tra Andrea Sartori – presidente del Consorzio Tutela – ed il Ministro Centinaio sia dialogando con alcuni tra gli oltre 65 produttori presenti al Palazzo della Gran Guardia.
Qualità.
Potrebbe sembrare banale, ma per promuovere un vino soprattutto sui mercati esteri e attirare i turisti in Valpolicella bisogna proporre un vino eccellente. È opinione concorde che l’annata 2015 sia una delle migliori addirittura dell’ultimo trentennio: poca pioggia (soprattutto se paragonata alla vendemmia dell’anno precedente, funestata dai rovesci che hanno portato diverse cantine a non produrre il vintage 2014 dell’Amarone) e un elevato grado zuccherino nelle uve, nonché umidità molto bassa che ha evitato alle uve di guastarsi per via dell’attacco dei parassiti.
La qualità porta anche un corollario assai discusso e dibattuto in questi anni, ovvero quello della lotta alla contraffazione: un tema tanto fondamentale quanto di difficilissima risoluzione. L’italian sounding, ovvero la pratica di utilizzare denominazioni geografiche, immagini e marchi che evocano l’Italia per promozionare e commercializzare prodotti per nulla riconducibili al nostro Paese, avviene soprattutto all’estero, e per forza di cose più ci si allontana dall’Italia più è difficile da combattere. Per questo, come ha ricordato il Presidente Sartori, è fondamentale il lavoro congiunto tra Consorzi e Ministero, che ha un suo dipartimento dedicato alla tutela della qualità e della repressione frodi nel settore agroalimentare (ICQRF).
Coesione.
“Non è comprensibile che, per fare promozione dei prodotti italiani ad esempio in Cina” ha detto il Ministro Centinaio “una volta ci siano i vari Consorzi, un’altra volta l’Istituto per il Commercio Estero ed un’altra ancora l’ENIT (l’Agenzia Nazionale per il Turismo)”, mentre ad esempio la Francia abbia un solo interlocutore per quanto riguarda il turismo, sia esso culturale, enologico o gastronomico. La frammentazione degli interlocutori è uno dei temi centrali quando si parla della promozione del cosiddetto Sistema Italia – e quindi della Valpolicella e del suo patrimonio enogastronomico – nel mondo: “Bisogna arrivare a capire che si deve perdere un po’ della propria autonomia per valorizzarsi nel complesso” ha aggiunto il ministro Centinaio.
In quest’ottica l’accorpamento della delega al turismo nel ministero delle Politiche Agricole è un primo passo: il secondo è l’approvazione del decreto sull’enoturismo. “Abbiamo finito la parte amministrativa del decreto di attuazione della legge” ha annunciato il ministro “Manderemo nei prossimi giorni una bozza del testo agli stakeholder per avere spunti di riflessione”. L’idea, sempre nelle parole del Ministro, è “dare agli operatori del settore strumenti agili e veloci” per promuoversi e allo stesso tempo mantenere un livello qualitativo all’altezza degli standard del made in Italy.
Oltre alla coesione all’estero, però, è necessaria anche coesione interna tra i produttori di vino della Valpolicella: “Il successo delle grandi aziende di Amarone nel mondo (tipo Quintarelli o Dal Forno), è un bene per tutta la Valpolicella” dice Carlo Boscaini, dell’omonima azienda agricola di Sant’Ambrogio di Valpolicella. La coesione deve avvenire soprattutto superando certi campanilismi che sono ancora duri a morire. “Noi come azienda” prosegue Boscaini “e come noi tanti, nasciamo come agricoltori, siamo diventati produttori ed imbottigliatori. Lo step successivo – di essere un operatore del turismo – è lontano dalle nostre corde”. È necessario quindi anche cambiare un po’ l’attitudine verso il turista: aprire la cantina a delle persone che assaggiano il vino e magari non comprano non deve essere vista come una perdita di tempo, ma come una opportunità. “In questa ottica ci sono delle aziende che, in un certo senso, vanno rivoluzionate”.
Innovazione.
Negli ultimi sei anni, il numero di imprese vinicole gestite da under 40 è quasi raddoppiato (+91%): “A questi dati, che non ci sorprendono, si devono aggiungere il ricambio generazionale in aziende già affermate” spiega il presidente Sartori “e non è retorica quando diciamo che i giovani sono in grado di portare innovazione, in vigneto come in cantina, o nella promozione”. La redditività del comparto – ha aggiunto Sartori – aiuta le nuove generazioni a prendere parte attiva in questo mondo, portando nuove competenze in un mondo in cui “tanti non parlano nemmeno l’inglese” aggiunge Boscaini “e ovviamente il turista se non sai le lingue non lo coinvolgi”.
Le nuove generazioni portano anche innovazione grazie alla conoscenza dei social, sempre più fondamentali per diffondere il proprio prodotto e il mondo alle sue spalle. Largo ai giovani, quindi, non come una frase fatta vuota di significato, ma come modello per i futuri manager di aziende, ragazzi che hanno girato il mondo, sanno le lingue, conoscono i mercati e possano portare le loro competenze per la valorizzazione della Valpolicella tout court sia come zona di grandi vini che come territorio turistico, senza dimenticare il valore della cultura come fattore di produzione.
D’altronde i dati parlano chiaro: dei 21 milioni di turisti che, secondo le ultime rilevazioni, hanno visitato la provincia di Verona, 600 mila – “numeri deludenti” secondo Sartori – hanno scelto la Valpolicella come meta turistica. Secondo gli addetti ai lavori si può e si deve fare meglio: i mezzi ci sono, le competenze stanno arrivando.